Critiche

VITTORIO SGARBI

C’era una volta Marina, in quel di Marano. non fosse che non si tratta di storia passata, ma di cosa ancora pienamente viva, la vicenda di Marina Corso, poetessa e pittrice autodidatta di Marano Lagunare, borgo pescatore all’interno della provincia udinese nel quale si parla un dialetto assai più veneto che furlano, potrebbe assomigliare a una novella popolare.
Una vita che all’origine, almeno nella sua fase adulta, non si dimostra affatto semplice, una vita con i suoi bei problemi da superare, quelli in cui spesso incorre la buona gente, ma che la Corso riesce a far girare dalla propria parte
confidando sulla generosità degli uomini, in particolare di quanti le stanno più vicino, e sulle capacità redentive, verrebbe da dire, che l’arte esercita su di lei.
Così, grazie anche all’arte, quella che non era destinata a essere tale si trasforma, come un piccolo, grande prodigio, nella massima aspirazione a cui poteva ambire, vita finalmente, davvero semplice, genuina fra gente della propria stessa indole con cui condividere la propensione per la franchezza di certi valori, di certi sentimenti.
Con lo stesso spirito di socialità rivolta verso ciò che abbiamo di più interiore, la Corso mette a disposizione della comunità le sue invenzioni liriche, che siano per parole o per immagini, perché non siano solo occasioni di compiaciuto godimento personale, ma perché diventino discorsi sottovoce in grado di solleticare chiunque creda di poter riconoscere dentro sé stesso almeno un pò della sua anima. Non é difficile riuscirsi, basta spogliarsi delle proprie adulte complicazioni e recuperare il piacere bambino per la favola bella, per il racconto fantasioso che ci conduce in mondi diversi da quelli con cui siamo abituati ad avere a che fare, mai noiosi, mai scontati.
Privata, come in un maligno sortilegio, della facoltà di impiegare i pennelli, la Corso ha fatto di necessità virtù, impiegando
materiali quanto mai eterodossi per creare pitture non dipinte, fatte di spugne da cucina, semi, petali, capelli, tracce materiali di vita vissuta con cui, opportunamente giustapposte, immaginarne un’altra. Alla ricerca dell’incanto
perduto, semplice come lo sono solo le cose preziose.

PAOLO LEVI

Marina Corso, artista di una pittura che richiama nelle sue opere l’armonia della luminosità, della bellezza e della perfezione del creato da molti anni a questa parte ormai, ci ha stupiti per la creatività innata.
Si avverte in queste tele una spiritualità profonda, come se queste opere fossero espressione di ciò che risiede nell’animo dell’artista, delle sue emozioni, sensazioni, delle domande della sue coscienza. Ciò che colpisce trovandosi dinanzi ad una sua opera è l’armonia delle linee e dei colori utilizzati dalle pennellate dolci e delicate su tela. È proprio nell’armonia scatirente da una perfezione nel riprodurre i paesaggi, i luoghi reali e non, i personaggi, in maniera impeccabile e con una luminosità così intensa, che si configura l’idea di una bellezza unica e originale.
Si è proprio la bellezza, che secondo Dostoevskij, “salverà il mondo” e che rende l’animo più nobile, perché in essa si rispecchia insieme alla bontà e alla giustizia divina, l’elemento che rende un’opera umana eterna e non soggetta
all’oblio e alla caducità della vita. La luce, espressione immaginifica, profonda forza vitale di ottimismo che porta l’animo del pittore a guardare alla vita con ottimismo e vitalità creativa, riempe le opere dell’artista Corso, le innonda e
le colma di un effetto di pace, di armonia con efficacia quasi terapeutica, producendo nell’animo un’energia positiva.
La sua espressività si fonda su presupposti di chiara matrice figurativa, un mondo entro il quale diventa piacevole perdersi e lasciar vagabondare il nostro spirito.
Oggi più che mai abbiamo bisogno di artisti come Marina, la quale riesce a trasmettere, con la sua arte, emozioni che lasciano il segno.

ANGELO CRESPI

C’è un quadro di Marina Corso che per la sua natura
simbolica (ed estetica) suscita una serie di rimandi che
squadernano la storia dell’arte. E che vale la pena evidenziare essendo, da un lato, tipico delle opere d’arte
il carattere allusivo, cioè ogni opera allude anche in
modo inconsapevole a una precedente, ed essendo,
dall’altro lato, connaturato al simbolo, nel primo significato etimologico di “gettato con”, l’idea di una cosa che, appunto gettata, rimanda ad un’altra senza peròcircoscriverla interamente (un ponte che indica la riva
opposta e non la raggiunge mai).
Si tratta di un gallo, un semplice gallo, dipinto con una
tecnica di cui diremo, in uno stile che potremmo definire, per il tratto, naïf e, per i colori, fauves. Un buon esempio di “arte primitiva”, cioè di quell’arte che consciamente o inconsciamente, tra fine Ottocento e inizio
Novecento, pensava di tornare agli albori della civiltà e
di riacquistare una genuinità perduta nell’avanzare del progresso. Un gallo che non può non richiamare alla mente, per esempio, il gallo di un pittore straordinario, da poco scomparso, come Giancarlo Vitali campione di
una sorta di espressionismo lombardo che al pari – si parva licet – della Corso, amava il concretizzarsi della materia sulla tela. E nel più tipico modo degli espressionisti, egli prediligeva il colore come veicolo del proprio sentire, un colore straziato con cui i grandi artisti alla Chaïm Soutine dipingevano paesaggi e animali, perfino morti: impossibile dimenticare proprio di Soutine i quarti di bue squartati ed esibiti quasi eroticamente, che a loro volta non possono non richiamare agli occhi gli interni della “bottega de macellaio” di Annibale Carracci, come ci fosse una linea soprattutto coloristica che a ritroso risale dall’espressionismo, ai fauves, fino al barocco, estremo nel realismo, della scuola bolognese.
Ma il gallo, per altri versi, nel suo essere simbolo cristologico di resurrezione, il cui sorgere sconfiggerà l’oscurità del male, rimanda a tutte un’altra serie di artisti e opere: “La notte” di Dosso Dossi, per esempio,
dove il fiero animale del mattino è l’argine ai mostri degli incubi notturni; o ancora a tutta l’iconografia, guarda caso veneta e friulana, terra patria della Corso, presente nei mosaici medievali della basilica di san Marco a Venezia, dove è rappresentato il cosiddetto “funerale della volpe” con i due galli che portano infilzato l’animale simbolo dell’astuzia e dell’eresia; fino agli emblemi, con il “caveat” del gallo, tipicidi alcuni pavimenti musivi dell’epoca romana.
Così per accumulazione, il gallo di Marina Corso acquista una profondità nuova, esso è l’epifenomeno di una persistenza millenaria: ed è solo una curiosità, sapere che la pittrice friulana, nel più puro spirito naïf ed ecologista, si è inventata la tecnica, detta “primitive-actual”, per cui rifiutando gli strumenti classici (pennelli e spatole), usa perstendere il colore solo strumenti trovati in natura (vegetali, piccoli frutti, legnetti…).

GIANLUIGI GUARNERI

Nella Primitive-Actual di Marina Corso si assiste ad un recupero primigenio di scarti vegetali che sublimano la ricchezza intellettiva della composizione. Elementi destinati all’oblio surrogano pennelli e spatole diventando magici strumenti di un panismo ideativo. L’artista eleva a ricchezza quanto di più povero e abbandonato viva effimero nella vita contemporanea che decreta, irrevocabile, la cultura dello scarto. Frammenti vegetali e colori acrilici si animano in un mondo fantastico idealizzando momenti e istanti di un naturale vissuto.

MARCO REBUZZI

Marina Corso, poetessa e pittrice autididatta, ha trovato nell’arte la sua espressione lirica. Le sue opere sanno di poesia: la poesia sottesa alle piccole cose del quotidiano. L’artista che opera con materiali non convenzionali, delinea i contorni di un mondo inondato di luce. La sua sensibilità pervade il quadro catturando lo sguardo dell’osservatore con la magia di atmosfere coinvolgenti e dense di ricchezza emozionale. Lavori da cui emerge l’amore per il paesaggio, e il legame con la natura sapientemente filtrata e riportata sullo spazio pittorico tramite la memoria visiva di momenti e di suggestioni emotive.

SANDRO SERRADIFALCO

Lontana da sistemi avanguardistici e moderni, Marina Corso è una pittrice che ha saputo far rinascere la pittura tradizionale, facendola rivivere di bellezza. In queste opere, ci mostra una rinnovata sensibilità per il figurativo tradizionale
e ci mostra la strada per ritrovare i valori della vera arte. Bisogna allontanarsi dall’assillo teorico, quasi metafisico, di definire che cosa è la pittura di tradizione, la rappresentazione di un mazzo di fiori, per provare invece a capire che cosa esso trasmette. Un lavoro arduo e faticoso, l’opera di Marina Corso, un ipertesto di frammenti classici, luogo che diventa “theatron” e dunque spazio della rappresentazione, della narrazione, specchio e narrazione artistica della storia e delle tradizioni culturali. Quest’integrazione perfetta fra arte e tradizione, questo senso straordinario di equilibrio e armonia, ecco il vero patrimonio italiano tanto seduttivo quanto sistematicamente compresso. Marina Corso ci immerge nel fascino della rappresentazione più classica e l’atmosfera si impregna di colori magici. Un’arte che riporta alla luce le sensazioni più recondite dell’anima.

FRANCESCA CALLIPARI

Marina Corso e la tecnica “Primitive Actual”

13.01.2021

di Francesca Callipari

[…] non cercate nelle mie tele un indirizzo, non cercatelo perché in ogni dipinto ci sarà una Marina diversa e libera

Marina Corso

Artista friulana, Marina Corso ha trascorso la sua infanzia nell’incantevole Marano Lagunare in provincia di Udine, circondata dal canto dei gabbiani e dal profumo della laguna. Proprio in questo contesto è nata la sua passione artistica, in particolare per l’arte pittorica figurativa. Accostandosi inizialmente alla pittura quasi per gioco, ben presto è riuscita a dar vita a vere e proprie opere e in un periodo particolarmente difficile della sua vita ha realizzato circa 400 disegni a matita per un collezionista e appassionato di storia del suo paese.

Dotata di grande sensibilità ed estro creativo, l’artista, autodidatta, nel corso della sua attività ha saputo reinventare la propria arte, mettendo a punto una nuova tecnica espressiva, da lei denominata “Primitive actual“, basata sull’uso estremamente originale di tutti i vegetali presenti in natura che vengono da lei adoperati al posto di pennelli, spatole, matite etc., consentendole, come lei stessa ha affermato, di esprimersi più liberamente.

In qualità di pittrice ha partecipato a numerosi eventi in italia e all’estero, attirando l’attenzione di importanti critici d’arte come Paolo Levi e Vittorio Sgarbi e ricevendo nel 2017 al Premio Internazionale Arte Milano il premio come “Migliore natura morta” con l’opera “Pensiero nascosto“.

Non è facile inquadrare l’artista in un determinato stile: la sua pittura spazia da paesaggi fiabeschi e onirici a opere di genere astratto o figurativo, passando da pennellate delicate e più fluide a linee mosse che conferiscono dinamicità alla composizione, tradendo la necessità dell’artista di esprimere liberamente il proprio estro. D’altro canto, lei stessa ha affermato: “[…] non cercate nelle mie tele un indirizzo, non cercatelo perché in ogni dipinto ci sarà una Marina diversa e libera“.

Nelle sue opere vediamo, inoltre, una spiccata capacità espressiva e una grande attenzione al dettaglio, quest’ultima visibile in particolare nelle sue nature morte, come ad esempio nell’opera “Le carillon” dove notiamo una raffinata ricerca nella composizione degli elementi unita ad un equilibrio cromatico che esprime un’atmosfera tranquilla e silenziosa.

In altre, è più evidente, invece, la capacità descrittiva che la porta a narrarci delle micro storie, come nell’opera “La bambola non serve” nella quale l’artista descrive l’incapacità degli adulti di comprendere i sentimenti dei bambini.

Dall’osservazione delle opere di Marina Corso si palesa, altresì, un altro elemento, a mio avviso, estremamente importante, ovvero una certa nostalgia per il passato. Marina è a tutti gli effetti una narratrice dei ricordi che fotografa attraverso la sua pittura momenti di vita quotidiana, molto spesso legati al suo paese o alle immagini che riemergono dai ricordi personali. Tuttavia, si tratta di una nostalgia che suggerisce una generale armonia e serenità: i colori sono delicati e vi è una luminosità diffusa che produce una energia positiva.

Ne sono un esempio opere come “Il Faro rosso di Lignano Sabbiadoro” e “Il pescatore” contraddistinte da colori tenui e un notevole impatto emozionale. In entrambe emerge la grande sensibilità di questa pittrice e l’amore per le sue radici, attraverso la descrizione di scene ed elementi che ci raccontano la semplicità del quotidiano… immagini che sembrano trasmettere anche il profumo di questi luoghi.

Alla grande passione per la pittura, l’artista affianca anche quella per la poesia, scrivendo appunto poesie in italiano e in vernacolo maranese, molte delle quali sono state pubblicate sul periodico “La voce della Laguna”.

Ci troviamo di fronte, quindi, un’artista che conosce perfettamente il linguaggio delle emozioni; un’artista che sa scavare nel profondo dell’animo e che attraverso la propria pittura ci spinge a ricercare sempre la bellezza nel suo concetto più ampio, ricordandoci il valore del tempo e l’importanza di cogliere ogni attimo della nostra esistenza.

VITTORIO SUTTO

Il mondo antico e sempre attuale di  Marina Corso

Il legame con Marano Lagunare, con il suo mondo antico di pescatori e di lingua veneta ancora alla base dei rapporti sociali di questa comunità, costituisce la struttura di una riflessione pittorica che sottolinea appartenenza e identità. La forma preferita è il dato figurativo, ma va incoraggiata anche  per il codice linguistico che la consegna al pubblico in una proposta espressionista al confine con l’astrazione.

Sul terreno figurativo possiamo porre Marano e il suo mare azzurro e profondo. Si tratta di una profondità esistenziale, perché la laguna non è mai di profondità assoluta, ma spiritualmente quel mondo fatto di canali e di barene, costituisce un soggetto di narrazione che possiede una certa assolutezza. E Marina Corso ha bisogno di assoluti, nella fede, nell’arte, nelle convinzioni che difende con solida certezza. Racconti di mare, stagliati in luminosità improvvise, bagliori di colore, attraversano tele prevalentemente di piccola dimensione. Questa tensione al racconto si stempera nei quadri di sensibilità espressionista tendente all’astrattismo. Allora verticalità e orizzontalità improvvise attraversando la tela ci ricordano che il mondo maranese è un piccolo frammento dell’universo in cui l’autrice Marina Corso, nuota con pensiero e cerca risposte esistenziali, anche attraverso la poesia. Ma strettamente rimanendo alla tela, le linee verticali e orizzontali che attraversano la superficie dipinta, allora paiono volere ramificarsi oltre tela o carta.

È questa una ricerca ancora in corso che io ho potuto scorgere anche in taluni studi sul suo computer, una ricerca i cui esiti saranno da osservare in futuro.

Interessante anche lo strumento che lei utilizza pe disegnare. Piume di uccello di laguna, legni, lacerti d’erba. Materiale volutamente povero, ma soprattutto naturale perché l’autrice Marina Corso vuole usare tutto, nulla è da buttare tutto può essere trasformato dalla mano quella parte del corpo che si raccorda al cervello e non teme la sofferenza dato che il pensiero non può rimanere imprigionato e libertà chiede fuga, slancio, coraggio… si… anche dolore.

Vito Sutto